“Quanta entropia!” Lo dice dispiaciuta, quasi seccata, Elena Goitini, AD di Bnl. Utilizza un termine preso a prestito dalla termodinamica, che in sostanza quantifica il grado di disordine presente in un dato sistema. Lei, e il consiglio di amministrazione e l’azionista non hanno evidentemente apprezzato la decisione del tribunale di Roma, che ha decretato l’illegittimità della cessione di 171 lavoratrici e lavoratori dalla Bnl a Capgemini – tale è il numero dei ricorrenti, alcuni dei quali non più in Capgemini alla data della sentenza: una sentenza che genera entropia nel loro modello di razionale industriale.
Un disordine sgradito: d’altronde, avere di fronte 171 persone che con coraggio decidono di far valere i loro diritti, suscita disorientamento in chi è abituato a sentirsi dire sempre di sì. Lo si vede dalle piccole cose: “Il tribunale ha richiesto a Bnl di reintegrare i colleghi”: no, la giustizia italiana non richiede. Non siamo su un piano informale, nel quale a un’azienda si domanda un favore: nel nostro caso il giudice accerta la mancata applicazione della legge e dispone che la Bnl vi si adegui. Si adegui alla legge, non a una richiesta.
Che fastidio, questa legge! È il mantra dei padroni e dei padroncini: i diritti, le tutele, le garanzie per i lavoratori non ci consentono di fare quel che vogliamo, e ci impediscono di ingrassarci ancor di più. È questo, in sintesi, il ragionamento che alberga in chi continua a ripetere, come fosse un copione teatrale, di essere convinto del razionale industriale dell’operazione. Un’operazione che genera un notevole risparmio di costi sulla pelle di quelle 171 persone che hanno deciso di non piegare la testa ma che, purtroppo per l’AD e il suo dispiaciuto consiglio di amministrazione e l’azionista, non può essere messa in atto. “Confermiamo la partnership!” Certo, il razionale economico – elegante espressione per dire ‘voglio risparmiare sulla testa della gente per guadagnare di più’ – non è in discussione. Ma no, cosa stiamo dicendo! L’AD si è premurata molto, assieme al suo management sorridente, di assicurare tutele senza eguali nel settore. Già, quelle tutele che, in sostanza, sono già tutte previste dalla legge: un sistema giuridico, però poco conosciuto o volutamente ignorato.
Certo, “c’era un gap lato IT enorme”: quindi l’AD ci sta dicendo che tutti gli investimenti e le strategie così enfaticamente esposte negli anni passati sono state del tutto fallimentari? E chi paga per questo? I soliti, vero? I colleghi ceduti, non chi ha messo in piedi tutte le patinate operazioni di cui tanto vi siete vantati.
“Questo percorso è molto più efficace, perché più semplice e rapido.” Complimenti, davvero: ci vuole una classe manageriale preparatissima – dunque lautamente pagata – per mettere su un’operazione che in sostanza espelle lavoratori dal perimetro aziendale. Chi ci avrebbe mai pensato?
Ma se questa operazione era tanto “solida e ben fatta”, come mai eravate preparati alla sentenza avversa? Così preparati da distaccare, il giorno stesso della sentenza, 156 lavoratori in Accenture – pardon, in Capgemini. Un lapsus scusabile all’AD, perché dall’alto del suo scranno è difficile badare a dettagli di così poco conto.
“Ricorreremo in secondo grado di giudizio.” Lapidaria, l’AD: lo dice con la convinzione di chi sa di essere nel giusto: la convinzione che poggia sulla fede nel profitto. Guai a chi si mette contro: il profitto non può essere intaccato. E dunque, pazienza se tutto questa insensata ostinazione continua con uno sperpero di denaro. Pagheremo tutti, tranne chi davvero dovrebbe pagare per l’incapacità al dialogo, l’inettitudine gestionale, e la protervia decisionale.
Per fortuna che in Italia c’è la legge, frutto delle battaglie di tante donne e di tanti uomini negli anni passati, che ci garantisce dalle scelte basate unicamente sul profitto. E pazienza, se questo genera un po’ di entropia nel vostro mondo così lontano dalla realtà.
Segreterie di Coordinamento del Gruppo BNL FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN