Il 17 aprile scorso, giorno del massiccio sciopero in Banca Popolare di Bari, le lavoratrici e i lavoratori hanno dato un messaggio forte ai vertici aziendali e a quelli della capogruppo MCC: le attuali condizioni di lavoro non sono più sostenibili e i sacrifici vengono vanificati dall’incertezza del futuro aziendale e dal caos gestionale.
Abbiamo aspettato che i vertici aziendali, come da impegno da loro assunto durante l’incontro in presenza del 12 aprile u.s., ci chiamassero per affrontare le problematiche rappresentate. Abbiamo atteso la riunione del CdA della BPB. Abbiamo atteso le nuove nomine nella Capogruppo, ma ancora oggi, irresponsabilmente, nessun incontro, né segnale concreto giunge dall’Azienda.
Quella a cui si assiste, invece, è la reiterazione di scelte incomprensibili, di scelte sprezzanti che si manifestano attraverso lettere di demansionamento, per mezzo di nuovi assetti organizzativi con ulteriori accorpamenti di filiali, di nuovi incarichi, di spostamenti di personale di qua e di là, in una condotta gestionale che ricorda il turbinio folle e vano di mosche frenetiche all’interno di un bicchiere capovolto. È l’organizzazione del lavoro che non va, è il modello distributivo che non funziona.
È un modello mutuato da altro istituto di credito di gran lunga più grande del nostro, è un abito non a misura di BPB: è goffo, impaccia e non va bene, mentre i problemi di natura organizzativa e di natura gestionale restano tutti lì. La carenza di personale nelle filiali alla quale si pensa di ovviare con gli accorpamenti di sportelli, anche di piazze diverse – scelta deleteria anche per l’allentamento del rapporto con la clientela –, è un fatto incontrovertibile che in tanti, in troppi fingono di non vedere. Unico motivo di questi accorpamenti – non si riducono i costi operativi, non si genera maggior produttività – sembra essere la creazione di massa manovra per consentire aperture a intermittenza, con figure professionali sottratte alle filiali per trasformarle in anime erranti alla ricerca di una redditività perduta.
Lo ripetiamo, il vero problema è che non c’è ancora un’idea di banca e non si sta facendo nulla per costruire una banca che possa davvero riprendere in mano la propria sorte, che dovrebbe risolversi in un nuovo ruolo al servizio dell’economia e delle persone dei territori nei quali è presente, magari inserendosi nella gestione dell’enorme quantità di denaro che arriverà al Sud dai fondi del PNRR, a rimarcare la funzione sociale del credito e ricucendo i rapporti con le economie locali.
Mettere a posto i conti è sicuramente doveroso, ma questo obiettivo non può essere raggiunto solo con la crescente ed insostenibile compressione dei costi del personale e puntando sul continuo rialzo dei tassi in un contesto aziendale, tra l’altro, in cui non mancano incoerenze, sperequazioni e discriminazione. C’è bisogno di scelte che strutturalmente riposizionino la Banca sul mercato e che, conseguentemente a queste scelte, ci siano piani formativi, condivisi e non solo comunicati, per riqualificare il personale in maniera coerente con una nuova missione di mercato, con nuovi servizi, nuovi prodotti.
C’è bisogno che il personale abbia contezza di vivere in una banca in cui il welfare, le condizioni economiche, siano omogenei e coerenti – mutui, tipologie di mutui… -, in cui si regolamentino le figure professionali non ancora normate. E non è certo il lancio di una nuova piattaforma per la formazione che può colmare la mancanza di visione strategica sul personale: anzi, anche in questo caso si è persa un’occasione disattendendo gli impegni presi con l’apposita commissione paritetica e preferendo un battage propagandistico, con i dipendenti pressati da irrealistici termini di fruizione. Vogliamo la formazione, la vogliamo di qualità e in presenza, per la crescita e lo sviluppo del personale e della Banca.
Siamo persone che lavorano, che hanno sempre lavorato e che vogliono continuare a svolgere con dignità il proprio lavoro. Se, invece, si persevera nel pregiudizio della Capogruppo verso i dipendenti della Banca Popolare Di Bari ritenuti “miracolati”; se viene detto che siamo persone che credono che “è arrivata mamma Stato e i problemi sono risolti, ma non è così”, vuol dire c’è qualcuno che ha ancora una visione distorta della popolazione della BPB. Se si continua a premere sulla rete – con qualcuno che urla nelle riunioni che non si faranno prigionieri! Che ci scappa il morto! -, vuol dire che la conquista della dignità del lavoro non è ancora completata.
Non è sufficiente, con la creazione del veicolo Capital Light Division, mettere a posto i conti spostando di là quello che di qua non va, c’è bisogno di qualcosa di più profondo, di più articolato. Occorre investire sulla gestione della qualità del credito: la valorizzazione degli NPL a bilancio 2022 fa pensare che una ipotetica cessione del credito deteriorato potrebbe avere un peso eccessivo sui conti della Banca. C’è bisogno tra le altre cose, che Banca Popolare Bari, Capogruppo siedano davanti alle Organizzazioni Sindacali per un autentico dialogo sociale e rispettose relazioni industriali, capaci di produrre strumenti condivisi nell’interesse di tutti i soggetti interessati, in un confronto che smetta di essere mera comunicazione di dati contabili, senza mai entrare negli aspetti organizzativi e nelle ricadute sul personale.
Se questa idea non si fa largo nella Proprietà, nella dirigenza del Gruppo, è difficile pensare ad una pacificazione, è difficile pensare che la mobilitazione si esaurisca. È da irresponsabili ignorare il profondo malessere espresso dallo sciopero stesso. Altre iniziative verranno! È urgente aprire una nuova fase. In caso contrario la lotta non si fermerà, andremo avanti con tutti i mezzi a nostra disposizione, con tutti gli interlocutori possibili, in tutti luoghi possibili.
Alla BPB, a MCC la scelta di come proseguire.
Segreterie OdC
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN
Banca Popolare di Bari