“Da una sola parte, dalla parte dei lavoratori” – Giacomo Brodolini

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“Da una sola parte, dalla parte dei lavoratori” – Giacomo Brodolini

Previdenza ed Esodati

Referenti UILCA

Previdenza obbligatoria

Il sistema previdenziale italiano è alquanto complesso. Non tutti i lavoratori sono infatti soggetti alle stesse regole previdenziali. Ogni tipologia di attività lavorativa è seguita, per quanto riguarda il sistema pensionistico, da una diversa istituzione e, spesso, le stesse regole relative alla contribuzione e al calcolo delle pensioni cambiano profondamente da un tipo di lavoratore all’altro.

La prima distinzione fondamentale è quella fra lavoro dipendente e lavoro indipendente.

Nel lavoro dipendente si distingue fra quello privato, la cui previdenza è gestita dall’Inps, e quello pubblico, la cui previdenza era gestita dall’Inpdap fino al 2011. Il decreto Salva Italia varato dal governo Monti, infatti, ha dato compimento a un processo di convergenza dell’Inpdap (e dell’Enpals, che curava la previdenza dei lavoratori dello spettacolo) verso l’Inps, portando la gestione della previdenza dei lavoratori dipendenti presso un unico ente.

Nel mondo del lavoro indipendente la previdenza di artigiani, commercianti, coltivatori diretti e collaboratori è di nuovo gestita dall’Inps, nella gestione speciale per i lavoratori autonomi. Sempre nell’Inps, in una gestione separata, viene amministrata la previdenza dei collaboratori, dei lavoratori a progetto, degli amministratori e sindaci di società.

Infine, per i liberi professionisti esiste una serie di Casse previdenziali privatizzate, distinte per tipologia di professione.

Per quanto le regole pensionistiche seguono schemi simili nelle diverse categorie di lavoratori, permangono delle differenze, più o meno marginali.

In genere i sistemi di previdenza pubblica funzionano con il meccanismo della ripartizione.

Chi oggi lavora versa dei contributi all’ente di previdenza. Queste somme non vengono conservate, ma sono utilizzate per pagare le pensioni di chi in quel momento non lavora più. In altre parole, l’ente di previdenza in prima istanza non investe o accumula risorse, ma le trasferisce in forma di pensioni.

In alcuni casi è possibile comunque che vi siano risorse in eccesso che possono essere investite o accumulate. È questo infatti il caso di molte casse dei liberi professionisti.

In cambio dei contributi versati, il lavoratore acquista il diritto, nel momento in cui andrà in pensione di ricevere una prestazione finanziata con i contributi versati dai lavoratori.

Con un sistema a ripartizione, quindi si crea un patto tra generazioni. Il valore della pensione che si andrà a percepire sulla base dei contributi versati è definito dal regime di calcolo delle prestazioni vigente per il lavoratore.

Fino al 1995 il sistema di calcolo delle pensioni era di tipo retributivo o reddituale. Il valore della pensione era quindi calcolato sulla base di una retribuzione pensionabile calcolata come media dei redditi percepiti dal lavoratori negli ultimi anni di lavoro. Il numero di anni da considerare varia da categoria a categoria di lavoratore, ma in genere comprende gli ultimi 10 anni per i dipendenti.

Per neutralizzare gli effetti dell’inflazione, le retribuzioni che entrano nel calcolo della pensione vengono rivalutate con dei coefficienti Istat, articolati in due serie da utilizzare rispettivamente per il calcolo in ciascuna quota.

Calcolata la retribuzione pensionabile, la pensione è pari a una quota di tale importo, quota data dal numero di anni di anzianità contributiva per un rendimento annuo. Il rendimento annuo cambia in base alla tipologia di lavoratore. Per ogni anno di anzianità contributiva, il lavoratore dipendente del settore privato ha diritto a una quota di pensione pari al 2% della retribuzione pensionabile, fino a una determinata soglia (nel 2012 di circa € 44.000). Di conseguenza, con 30 anni spetta il 60%, con 35 anni il 70% e così via sino al tetto massimo dell’80% con 40 anni di anzianità. Sulle quote di reddito pensionabile oltre la soglia suddetta il rendimento scende progressivamente. Pertanto, su redditi particolarmente alti, la percentuale sarà inferiore al 2% per ogni anno di anzianità.

La pensione retributiva dipende quindi principalmente da due fattori: la retribuzione e gli anni di lavoro e contribuzione.

Nel 1995 la riforma conosciuta come riforma Dini ha modificato il sistema di calcolo delle pensioni, introducendo il sistema contributivo.

La pensione è quindi calcolata a partire dal montante contributivo, ossia la somma di tutti i contributi versati durante la vita lavorativa rivalutati in base alla crescita del Pil italiano.

Questo montante è moltiplicato per un numero, il coefficiente di trasformazione per ottenere l’importo della pensione. Il coefficiente di trasformazione è legato all’età del lavoratore al momento del pensionamento. Più il lavoratore è anziano più alto sarà il coefficiente e, quindi, la pensione erogata.

I fattori determinanti della pensione sono in questo caso i contributi versati e l’età al pensionamento.

Per capire al meglio il sistema contributivo immaginiamolo simile a un conto corrente dove il lavoratore versa i propri contributi periodo per periodo. I contributi quindi si rivalutano ogni anno in base al tasso di crescita del Pil e al pensionamento il lavoratore avrà accumulato un gruzzolo, il montante contributivo che sarà trasformato in rendita.

Ma si tratta di un sistema virtuale, ossia non si ha nessun accantonamento reale dei contributi dato che il sistema è e resta a ripartizione. Si tratta quindi solo di un sistema di calcolo.

La crisi del sistema

Nuove scoperte scientifiche hanno permesso un allungamento della vita media e questa tendenza, seppure positiva, ha avuto conseguenze pesanti sull’ammontare delle uscite del sistema pensionistico: si vive di più, quindi le pensioni vengono pagate per una durata di tempo maggiore rispetto al passato. Nel 2005 avevamo circa tre soggetti tra i 25 e i 65 anni per ogni ultrasessantacinquenne. Se ottimisticamente interpretiamo i primi come coloro che lavorano e pagano i contributi e i secondi come coloro che percepiscono le pensioni, possiamo dire che approssimativamente la pensione di un pensionato di oggi viene finanziata con i contributi di tre lavoratori di oggi.

Questo rapporto andrà via via peggiorando negli anni finché un lavoratore dovrà finanziare più della metà della pensione di un futuro pensionato.

Allo stesso tempo si è ridotta la natalità. Meno bambini nascono, meno saranno in futuro i lavoratori e quindi minori saranno le entrate del sistema previdenziale.

Si è originato quindi uno squilibrio che, senza le riforme, si sarebbe ingrandito sempre di più nel futuro, ponendo a rischio la stabilità dell’intero sistema economico nazionale.

Come affrontare quindi lo squilibrio? In genere il gap è finanziato dallo Stato ricorrendo alle entrate fiscali e/o al debito pubblico, ma queste strade non sono più percorribili nel lungo periodo a causa delle loro conseguenze redistributive. Quando non è più possibile aumentare le tasse o ricorrere al debito pubblico, diventano ormai necessari interventi correttivi sul funzionamento del sistema pensionistico per ridurre lo squilibrio.

Come si riforma un sistema previdenziale?

Il legislatore può ridurre lo squilibrio previdenziale agendo su tre possibili leve:

  • leva n. 1: ridurre l’ammontare delle pensioni pagate (= minori uscite)
  • leva n. 2: aumentare i contributi versati (= maggiori entrate)
  • leva n. 3: ritardare l’età minima per andare in pensione (= minori uscite e maggiori entrate)

Nel corso degli ultimi anni una lunga serie di riforme ha agito muovendo tutte le leve descritte.

Negli ultimi vent’anni si sono succeduti numerosi provvedimenti legislativi diretti a razionalizzare il sistema previdenziale sociale colpito da una grave crisi finanziaria, fonte di pesanti conseguenze sul debito pubblico.

La crisi finanziaria è stata determinata da diversi fattori:

  • il mancato equilibrio finanziario delle gestioni oggetto delle prestazioni pensionistiche;
  • le profonde modificazioni del rapporto esistente tra pensionati e lavoratori in servizio;
  • l’aumento della disoccupazione e la diminuzione della popolazione in età di lavoro;
  • la frammentarietà della contribuzione dei lavoratori (in particolare dei giovani e delle donne) che ha ridotto il gettito previdenziale;
  • l’aumento del numero dei pensionati e dell’aspettativa di vita;

tutti fenomeni che hanno prodotto nell’arco degli anni un aumento consistente delle prestazioni pensionistiche nel sistema pubblico.

Pertanto i provvedimenti legislativi hanno avuto l’obiettivo di raggiungere una stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo salvaguardano nel contempo la prestazione pensionistica.

 

Diverse le riforme pensionistiche successive al decreto legislativo n. 503/92 (Legge Amato) che hanno ridisegnato il sistema portandolo a quello attuale:

  1. la RIFORMA DINI (legge 8 agosto 1995 n.335) che prevedeva:
  • l’introduzione del sistema di calcolo della pensione (retributivo, misto, contributivo) differenziato a seconda della data di ingresso nel mondo del lavoro;
  • l’inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione di anzianità definendo per quest’ultima delle uscite programmate, le cosiddette “finestre” (previste per gennaio, aprile, luglio, ottobre);
  • l’età pensionabile flessibile (nell’arco compreso tra l’età di 57 anni e l’età di 65 anni) e uguale per uomini e donne;
  • l’estensione della tutela previdenziale anche ai lavoratori parasubordinati con l’istituzione di una apposita Gestione Separata presso l’INPS.
  1. la RIFORMA MARONI (legge 23 agosto 2004 n.243) che prevedeva le seguenti linee guida:
  • l’inasprimento dei requisiti per la pensione di anzianità, soprattutto attraverso l’introduzione dello “scalone” (innalzamento dell’età anagrafica da 57 a 60 anni a partire dal 2008), mentre si lasciava immutato il requisito contributivo minimo di 35 anni; rimaneva altresì invariato l’accesso al trattamento anticipato in caso di anzianità contributiva pari a 40 anni a prescindere dall’età anagrafica;
  • il dimezzamento delle finestre di uscita per la pensione di anzianità, ridotte a gennaio e luglio;
  • l’introduzione, a partire dal gennaio 2008, anche per i pensionati di vecchiaia, delle finestre trimestrali per accedere alle prestazioni previdenziali;
  • l’elevazione dell’età pensionabile, determinata in misura fissa e diversificata per genere (60 anni per le donne e 65 per gli uomini).
  1. la RIFORMA PRODI (legge 24 dicembre n.247, entrata in vigore il 1° gennaio 2008 dopo un faticoso iter parlamentare): la riforma costituiva sul versante previdenziale una vera e propria rivoluzione, annullando molte disposizioni della Riforma Maroni per le quali era prevista l’applicazione, a far data dal 1°gennaio del 2008, e pertanto mai entrate in vigore, eliminando lo scalone e introducendo il sistema delle “quote” (somma tra età e anzianità al pensionamento pari o superiore a un determinato limite) per l’accesso alla pensione di anzianità.
  2. Legge 122/2010, Legge 111/2011, Legge 138/2011: tre interventi del governo Berlusconi che hanno introdotto diversi elementi di novità:
  • revisione triennale dell’età minima di accesso alla pensione sulla base della variazione della sopravvivenza della popolazione;
  • sostituzione delle finestre di uscita fisse con finestre scorrevoli di accesso al pensionamento (dodici mesi per i dipendenti, diciotto per gli autonomi, tre mesi aggiuntivi per il pensionamento con 40 anni di anzianità);
  • pareggio programmato dell’età di pensionamento delle donne con quello degli uomini;
  • inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione;
  1. Riforma MONTI FORNERO (decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, coordinato con la legge di conversione 22 dicembre 2011): ultima riforma del sistema pensionistico a opera del governo Monti che ha apportato interventi importanti in termini di regole di accesso e di calcolo delle pensioni:
  • elevate le età di accesso;
  • eliminata la pensione di anzianità;
  • abolizione delle finestre mobili (incorporate nei requisiti);
  • calcolo contributivo delle prestazioni esteso a tutti i lavoratori.

La Riforma, superando quella del 1995, ha esteso a tutti i lavoratori il sistema contributivo per il calcolo della pensione ed ha innalzato per tutti i lavoratori (uomini e donne) l’età pensionabile. 
In particolare, ha introdotto il retributivo misto per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano già maturato 18 anni di anzianità (si applica il contributivo per gli anni dopo il 2012).

 I lavoratori privati, pubblici e autonomi sono divisi in tre gruppi in base all’anzianità maturata alla data del 31/12/1995:

  •     almeno 18 anni di contributi, l’assegno pensionistico sarà calcolato con un sistema misto, cioè retributivo per l’anzianità maturata sino al 31/12/2011 e contributivo per il periodo successivo;
  •     meno di 18 anni di contributi, l’assegno pensionistico sarà calcolato con un sistema misto, cioè retributivo per l’anzianità maturata sino al 31/12/1995 e contributivo per il periodo successivo;
  •     zero contributi al 31/12/1995, l’assegno pensionistico sarà calcolato con il sistema contributivo, che si basa su quanto versato nel corso della vita lavorativa.

Sistema di calcolo delle pensioni applicato sui periodi contributivi

Inizio lavoro

Anzianità al 31/12/1995

Sistema applicato sulle anzianità contributive

maturate nei periodi:

fino al 31/12/1995

dal 1/1/1996 al 31/12/2011

dal 1/1/2012 in poi

Entro la fine del 1995

Più di 18 anni

Retributivo

Contributivo

Meno di 18 anni

Retributivo

Contributivo

Dal 1996 in poi

Nessuna

Contributivo

Con la Riforma sono stati modificati anche i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia, per la quale bisogna soddisfare il requisito minimo di anzianità contributiva di 20 anni.

Inoltre, è stata innalzata l’età pensionabile, che è diventata di 67 anni.

Si ricorda che i requisiti anagrafici sono soggetti ad un programmato adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita

  • Prossimo aggiornamento 2021
  • Successivamente ogni due anni

La Riforma ha inoltre cancellato il sistema delle quote e ha introdotto la pensione anticipata, che consente di andare in pensione prima dell’età di vecchiaia solo se si superano (anni di contribuzione validi dal 2016): 41 anni e 10 mesi di contributi (per le donne) e 42 anni e 10 mesi (per gli uomini). I requisiti di anzianità contributiva non sono soggetti all’ adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita , ma solo fino al 2026.

Vuoi conoscere la tua data di pensionamento e una stima dell’importo?

L’Inps ha messo a disposizione un servizio che permette di simulare quale sarà presumibilmente la pensione al termine dell’attività lavorativa. Il calcolo si basa sulla normativa in vigore e su tre elementi fondamentali: età, storia lavorativa e retribuzione/reddito. 

Quota 100

Quota 100 è il nome della misura sperimentale, valida per il triennio 2019-2021, che consente l’accesso anticipato al pensionamento.

Per poter accedere alla Quota 100 è necessario avere un’età non inferiore a 62 anni eun’ anzianità contributiva non inferiore a 38 anni

Possono accedere a Quota 100 tutti i lavoratori iscritti alle gestioni Inps (dipendenti privati, pubblici e autonomi).

Chi accede alla pensione con Quota 100, però, non può svolgere un lavoro retribuito fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (sono consentite solo le collaborazioni occasionali che non superano i 5.000 euro lordi annui).

Non possono accedere alla Quota 100 i lavoratori di Forze Armate, Polizia, Polizia penitenziaria, Vigili del fuoco e Guardia di finanza, chi gode di Isopensione o dei fondi di solidarietà per l’accompagnamento alla pensione.

Raggiunti i requisiti, è necessario aspettare un periodo di tempo prima di ricevere l’assegno pensionistico.

In particolare, i lavoratori del settore privato devono attendere 3 mesi e quelli del settore pubblico 6 mesi. Gli insegnanti devono aspettare l’inizio dell’anno scolastico.

Opzione donna

Uscita anticipata anche per le donne nate entro il 1960 con 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018. Età 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome.

La pensione viene ricalcolata con il metodo contributivo.

 

Ape

Anticipo pensionistico introdotto dalla Legge di bilancio per il 2017. Si tratta di una novità previdenziale che permette ai lavoratori in possesso di determinati requisiti di poter accedere all’anticipo.

APE volontariaAPE aziendaleAPE Sociale
  1.  mancano non più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia
  2. sperimentale da maggio 2017 a dicembre 2018
  3. 63 anni di età
  •  20 di contributi

30 anni di contributi se:

  1. disoccupati senza ammortizzatori sociali;
  2. lavoratori che assistono familiari di 1° grado con disabilità grave;
  3. lavoratori che presentano un grado di invalidità superiore o uguale al 74%;

36 anni di contributi se:

lavoratori che hanno svolto almeno per 6 anni un lavoro a rischio.

  • pensione pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo previsto nell’assicurazione generale obbligatoria
  • si riceve un assegno erogato dalle banche, una volta raggiunta la pensione di vecchiaia il prestito dovrà essere ripagato in mensilità per i successivi 20 anni
Indennità a carico dello Stato
 In caso di esuberi o ristrutturazioni, l’azienda continuerà a versare in favore del lavoratore i contributi fino al raggiungimento dell’età della pensione 

 

Rita

La possibilità per chi è iscritto ad un Fondo pensione di poter richiedere la rendita integrativa temporanea, ossia un anticipo sulla propria pensione complementare. Sono necessari gli stessi requisiti per l’APE:

  1. 63 anni;
  2. 20 anni di contributi;
  3. Mancano non più di 3 anni e 7 mesi alla pensione di vecchiaia;
  4. Una pensione maturata non inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo;
  5. In possesso del certificato Inps.

La Rita non è un prestito, che dovrà essere restituito, si tratta della possibilità per gli iscritti ad un Fondo pensione di poter usare il capitale accumulato per ottenere una rendita mensile prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia, usufruendo di una tassazione agevolata.

Previdenza complementare

La previdenza complementare si affianca a quella pubblica ed è legata alla libera iniziativa dei cittadini. L’obiettivo è dare la possibilità ad ogni lavoratore di costruirsi una seconda pensione, che si aggiungerà a quella che verrà erogata dal sistema pubblico. Le diverse riforme che si sono susseguite negli anni, oltre ad aver allungato l’età pensionabile, hanno ridotto l’entità economica della prestazione pensionistica ed anche per questo motivo è necessario pensare ad una seconda pensione.

Le caratteristiche della previdenza complementare

L’adesione ai fondi pensione è libera e volontaria e rimessa all’iniziativa del singolo.

Tutti i fondi pensione aperti a nuove adesione operano secondo il regime della contribuzione definita nel quale è la contribuzione a rimanere fissa, mentre l’ammontare della prestazione sarà determinato dal montante accumulato nel corso degli anni e capitalizzato in funzione del rendimento netto conseguito con la gestione delle risorse.   
In questa tipologia di regime operativo, il lavoratore conosce, fin dall’atto della sua iscrizione, l’importo della sua contribuzione ma non conosce l’importo della prestazione che otterrà dato che quest’ultima risulterà variabile e dipendente dai rendimenti ottenuti.

I Fondi Pensione sono gestiti secondo i criteri della capitalizzazione individuale.
Di conseguenza all’interno del Fondo pensione ogni iscritto è titolare di un “conto previdenziale individuale” separato e distinto rispetto a quello degli altri iscritti.  Le risorse raccolte dai Fondi pensione vengono investite nei mercati finanziari al fine di produrre un rendimento che va ad aggiungersi alla contribuzione di volta in volta versata nelle posizioni individuali. Essi sono quindi gestiti secondo il sistema tecnico finanziario della “capitalizzazione”. L’ammontare delle prestazioni previdenziali dipenderà pertanto dai contributi versati, dal periodo di permanenza nel fondo e dal rendimento ottenuto dall’investimento del patrimonio.
Al fine di garantire la natura previdenziale dell’investimento, la normativa ha stabilito una serie di misure  di tutela:
•    obbligo di individuazione dei gestori in base a una selezione pubblica condotta con criteri determinati dall’autorità di vigilanza;
•    obbligo di individuazione di una banca depositaria presso la quale deve essere depositato il patrimonio (liquidità e titoli);
•    indicazione dei criteri e dei vincoli agli investimenti;
•    imposizione di regole di gestione dei conflitti di interesse;
•    compiti di ispezione e controllo affidati all’autorità di vigilanza (COVIP)

La vigilanza sul fondo è esercitata dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione ( Covip), al fine di perseguire la corretta e trasparente amministrazione e gestione dei fondi per la funzionalità dei sistemi di previdenza complementare.

Breve cronologia della previdenza complementare

Prima del 1993 – Manca una normativa generale per i fondi pensione.
Tuttavia nell’ambito delle banche, delle assicurazioni, di imprese multinazionali e per particolari categorie di lavoratori (dirigenti) sono già presenti un cospicuo numero di fondi pensione, chiamati “preesistenti”
1993 –  Nasce la previdenza complementare con il D. Lgs. 124/93.
L’obiettivo del nuovo sistema è quello di erogare “trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico” così da “assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”

1995 –  Nascono i fondi pensione aperti ad adesione collettiva
Con la Riforma Dini (L. 335/95) si interviene anche sulla previdenza complementare. Viene introdotta l’adesione collettiva ai fondi pensione aperti.  

2000 – Nascono i Pip
Con il D. Lgs. 47/00 si rivisita tutto il  regime fiscale della previdenza complementare. Vengono introdotte e disciplinate  le forme pensionistiche individuali.

2007 – Parte la nuova previdenza complementare.
Vi è una forte equiparazione tra i diversi strumenti e diviene operativo il meccanismo del silenzio-assenso che determina l’obbligo di una scelta in merito alla destinazione del Tfr per i dipendenti privati neo-assunti.

Le tipologie di fondi pensione esistenti sono più di una in Italia:

  • fondi pensione contrattuali, detti anche chiusi o negoziali (compresi i cosiddetti fondi pensione preesistenti);
  • fondi pensione aperti;
  • forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione con finalità previdenziale (Pip).

Tali forme, seppur molto simili per quel che attiene i relativi diritti e il meccanismo di funzionamento,presentano alcune peculiarità.

Fondi pensione chiusi

Questi fondi sono associazioni istituite grazie a un contratto collettivo di lavoro o altro genere di accordo collettivo. Proprio perché la loro origine deriva da un contratto o da un negozio giuridico, vengono definiti “contrattuali” o “negoziali”.
I fondi pensione contrattuali vengono anche chiamati “chiusi”, essendo delimitato l’ambito dei destinatari ai quali è rivolta la loro proposta previdenziale.
Ad esempio, al fondo pensione “Cometa” possono iscriversi solo i lavoratori metalmeccanici, al fondo pensione “Fonte”, invece, possono iscriversi solo i lavoratori cui viene applicato il contratto del commercio.
I fondi pensione contrattuali possono essere settoriali, se rivolti ai lavoratori di un determinato settore di attività, aziendali, se i destinatari sono dipendenti appartenenti a un’azienda o a un gruppo aziendale, territoriali, se possono aderirvi i lavoratori di una determinata area geografica.
La caratteristica principale dei fondi pensione contrattuali è quella di essere gestiti dagli stessi iscritti. Tali fondi, infatti, sono governati da diversi organi:

  • il consiglio di amministrazione, che  guida il fondo pensione, seleziona i gestori finanziari (banche, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio o assicurazioni) attraverso una gara pubblica, controlla che i gestori facciano il loro dovere ed eventualmente cambia i gestori che non danno risultati soddisfacenti;
  • un organismo di sorveglianza, che controlla la correttezza della gestione del fondo pensione;
  • l’assemblea, che nomina il consiglio di amministrazione e l’organismo di sorveglianza, approva il bilancio e può deliberare l’azione di responsabilità contro il consiglio di amministrazione.

Si può dunque affermare che i fondi pensione contrattuali sono gestiti dagli iscritti in quanto al momento dell’adesione, il lavoratore, oltre che essere cliente, diventa anche associato del fondo pensione e può esprimere il proprio voto in assemblea. Se gli iscritti a un fondo pensione contrattuale sono molti, generalmente è previsto che questi eleggano un certo numero di loro delegati, che andranno a comporre l’assemblea.

Gli iscritti a questa tipologia di Fondi pensione diventano soci e partecipano attivamente alla vita del Fondo, eleggendo gli Organi.

Nell’ambito dei fondi pensione contrattuali è interessante rivolgere l’attenzione al gruppo costituito dai fondi pensione preesistenti.

In alcune banche, assicurazioni e imprese multinazionali e per alcune categorie particolari (es. dirigenti) esistono dei fondi pensione istituiti prima del 1993. Vi può aderire solo chi lavora in quelle aziende o appartiene a quei tipi particolari di categorie.

Fondi pensione aperti

Questi fondi sono patrimoni autonomi e separati, che vengono istituiti da banche, Sim (le società di intermediazione mobiliare sono autorizzate a prestare servizi di investimento, quali la negoziazione per conto proprio e per conto terzi, la ricezione e trasmissione di ordini e la mediazione), Sgr (le società di gestione del risparmio sono incaricate di amministrare i patrimonio dei fondi comuni di investimento, selezionando i titoli in cui investire e decidendo la composizione del portafoglio) e imprese di assicurazione.

A differenza dei fondi contrattuali, l’ambito dei destinatari dei fondi pensione aperti non è “predefinito”: per questo vengono chiamati “aperti”. Di conseguenza, chiunque può iscriversi – individualmente e per proprio conto – a un fondo pensione aperto.

Piani individuali pensionistici (Pip)

Come nel caso dei fondi pensione aperti, anche a questo tipo di forma pensionistica può aderire chiunque. È bene ricordare che questi contratti di assicurazione si distinguono dalle altre polizze vita, perché i documenti contrattuali che vengono consegnati al momento della sottoscrizione fanno esplicito riferimento alle finalità previdenziali della polizza. Nel caso del contratto di assicurazione, i versamenti sono accantonati in una riserva dell’impresa di assicurazione e vengono gestiti dalla stessa assicurazione.

Adesione

L’adesione alla previdenza complementare è volontaria e libera.

È possibile aderire ad un fondo pensione  attraverso due modalità: una esplicita e una tacita
Adesione esplicita
Il soggetto, che non ha aderito ad alcuna forma di previdenza complementare o che ha riscattato integralmente la propria posizione dal fondo pensione al momento dell’assunzione, avrà 6 mesi di tempo per manifestare la propria volontà in merito alla destinazione del TFR attraverso la compilazione del modulo ministeriale TFR2.  
In particolare il lavoratore dovrà manifestare la volontà di aderire a una forma di previdenza complementare o di mantenere il suo Tfr in azienda; questa seconda scelta, comporta la “non partecipazione” alla previdenza complementare, e sarà comunque reversibile: il lavoratore potrà successivamente manifestare la propria volontà di adesione.
 Adesione tacita
Ribadito il principio per cui ogni lavoratore è libero di scegliere il proprio fondo pensione, è comunque prevista una procedura di adesione tacita; il conferimento del Tfr alle forme di previdenza complementare avverrà, cioè, attraverso un meccanismo di silenzio-assenso.
Decorsi i 6 mesi indicati senza che il lavoratore abbia manifestato alcuna volontà il Tfr maturando, ovvero non avrà compilato e riconsegnato all’azienda il modulo TFR2,  questo verrà destinato al finanziamento di una forma pensionistica individuata secondo i meccanismi che seguono:
Fondo previsto dai contratti o accordi collettivi (“fondo collettivo di riferimento”) scelto, quindi, da un accordo tra rappresentanti dei datori di lavoro e lavoratori, che preveda la destinazione del Tfr a una forma collettiva a livello aziendale, di categoria o territoriale. Nel caso di sovrapposizione di più forme collettive di riferimento per uno stesso lavoratore, il Tfr andrà in quella individuata attraverso un apposito accordo aziendale tra datore di lavoro e rappresentanti dei lavoratori. Se questo accordo non è intervenuto, il Tfr verrà devoluto nel fondo pensione collettivo che ha raccolto il maggior numero di adesioni in quell’azienda.
Qualora non vi sia alcun fondo pensione collettivo di riferimento, o nel caso in cui non si riesca a individuare un fondo collettivo in base ai precedenti criteri, il Tfr maturando confluirà in un fondo residuale costituito presso l’Inps, denominato FONDINPS, dove resterà  finché il lavoratore lo porterà alla forma scelta.

Contribuzione

I Fondi pensione negoziali sono finanziati mediante la contribuzione posta a carico dei lavoratori destinatari della prestazione e dei datori di lavoro.

In sede negoziale si definisce il contributo a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro in percentuale della retribuzione assunta a base della determinazione del TFR oltre che del TFR.
Per i lavoratori di prima occupazione assunti dopo il 28 aprile 1993 (anno di entrata in vigore del d.lgs 124/93) che decidano di aderire al fondo, è obbligatorio l’utilizzo dell’intero TFR. maturato nell’anno.
I fondi pensione aperti e i PIP sono generalmente finanziati dai soli contributi a carico dell’iscritto ma è possibile versarvi il TFR.

L’obbligo di contribuzione da parte del datore di lavoro, in caso di versamento del Tfr e del contributo da parte del lavoratore, vi è solo nel caso di adesione collettiva a fondo pensione aperto.

Se l’iscritto è un lavoratore dipendente iscritto ad un Fondo chiuso, i versamenti saranno fatti direttamente dal datore di lavoro, che verserà anche la contribuzione del lavoratore, trattenendola direttamente dalla busta paga.

L’iscritto ha la possibilità di richiedere le prestazioni anche prima del pensionamento.


Anticipazioni

È possibile richiedere delle anticipazioni di parte del proprio conto individuale:

  • per spese sanitarie: fino al 75% del capitale accumulato, con una tassazione tra il 15% e il 9%*;
  • per acquisto o ristrutturazione della prima casa: dopo 8 anni di iscrizione, fino al 75%, con una tassazione al 23%;
  • per altre esigenze: dopo 8 anni di iscrizione, fino al 30%, con una tassazione al 23%.

dal 16esimo anno di iscrizione l’aliquota del 15% è ridotta ogni anno dello 0,30%, fino a un minimo del 9%. La tassazione rappresentata è quella applicabile sul montante a partire dal 1 gennaio 2007.


Riscatto

È possibile riscattare parzialmente o totalmente la propria posizione:

  • 50%, in caso di:
  • disoccupazione superiore a 12 mesi e inferiore a 48 mesi;
  • mobilità e Cassa integrazione.

 La tassazione applicata è tra il 15% e il 9%

  • 100%, in caso di:
  • disoccupazione superiore a 48 mesi;
  • invalidità permanente con riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo

La tassazione applicata è tra il 15% e il 9%

  • cambio contratto, dimissioni, licenziamento

La tassazione applicata è del 23%


Trasferimento

È possibile trasferire la propria posizione individuale in un altro Fondo:

  • per perdita di requisiti di partecipazione esempio se si cambia lavoro;
  • volontariamente dopo 2 anni di adesione.

Rendita integrativa temporanea anticipata – RITA

La RITA consiste nell’erogazione frazionata delle somme presenti nel Fondo pensione. L’aderente può richiedere l’intera posizione accumulata o una parte.
Le somme richieste come RITA saranno investite di default nel comparto più prudente. L’iscritto ha la facoltà di poter cambiare il comparto di destinazione.

Inoltre, nel caso in cui chieda una parte del montante, sulla posizione che resta investita nel fondo, l’aderente potrà continuare a versare la contribuzione volontaria o richiedere riscatti, anticipazioni e prestazioni.

Per avere il diritto a richiedere la RITA l’aderente deve essere iscritto alla previdenza complementare da almeno 5 anni e deve:
1)    Aver cessato l’attività lavorativa, aver un contributo complessivo alla previdenza obbligatoria di almeno 20 anni e gli devono mancare meno di 5 anni alla pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza;
oppure
2)    Risultare inoccupato per un periodo di tempo superiore a 24 mesi e gli devono mancare meno di 10 anni alla pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza.

Particolarmente interessante è il Regime fiscale applicato alla nuova prestazione: l’intero montante destinato all’erogazione in forma di RITA è soggetto a tassazione sostitutiva con aliquota del 15/9%.

Se l’iscritto muore prima dell’erogazione completa delle rate di RITA, la parte non ancora percepita potrà essere riscattata dai beneficiari indicati o, in loro assenza, dagli eredi.

Prestazione pensionistica

Al momento del raggiungimento dei requisiti per accedere alla pensione pubblica e dopo almeno 5 anni di adesione alla previdenza complementare è possibile accedere alla prestazione pensionistica, che può essere richiesta:

  • Rendita, si riceve una somma di denaro periodicamente;
  • 50% rendita e 50% capitale, ossia si può avere disponibilità del 50% del montante accumulato;
  • 100% capitale solo se la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale;
  • 100% capitale se si è un iscritto ad un fondo pensione pre-esistente da prima del 1993. In tal caso non sarà applicato il nuovo e più favorevole regime fiscale sul montate post 2007.

Previdenza complementare

Nel settore del credito, il Fondo di solidarietà è nato per volonta delle Parti Sociali nel 1998. Il legislatore ha previsto nel 1997 che la contrattazione collettiva postesso costituire presso l’Inps specifici fondi, finanziati e gestiti con il concorso delle parti sociali interessate nell’ambito di processi di ristrutturazione aziendale.

L’istituzione del Fondo di solidarietà per il settore creditizio è avvenuta con l’accordo sindacale sottoscritto il 28/02/1998, recepito nel D.M. n. 158/2000 con la costituzione del “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del credito ordinario” presso l’Inps.

Ulteriore Fondo di solidarietà istituito presso l’Inps +è quello relativo a settore del credito cooperativo. In allegato sono disponibili il decreto 20/06/2014 e il relativo accordo del 30/10/2013.

Il fondo ha subito negli anni alcune modifiche importanti ed oggi offre diverse prestazioni sintetizzate di seguito:

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