In un contesto ambientale caratterizzato da modalità commerciali spregiudicate e contrarie alle disposizioni aziendali di vendita, sollecitate dai vertici aziendali per spingere sulla conclusione dei contratti, risulta illegittimo il licenziamento per giusta causa di un venditore che, conformandosi a tale prassi, abbia utilizzato pratiche commerciali irregolari.
La Cassazione ha raggiunto questa conclusione (qui potrete trovare la sentenza) sul presupposto che i condizionamenti ambientali di cui venga fatto oggetto, da parte dei superiori gerarchici, un dipendente di livello subordinato debbano essere valorizzati nel senso di diminuire la portata inadempiente, sul piano soggettivo e sotto il profilo oggettivo, della condotta commerciale aggressiva ascritta al lavoratore.
La diffusione in ambito aziendale di una pratica commerciale irregolare per effetto di pressioni realizzate sui venditori da parte dei responsabili di area allo scopo di incrementare il fatturato, in altre parole, non può non incidere sulla valutazione della condotta irregolare che, proprio a seguito di tali condizionamenti ambientali, è stata posta in essere dal dipendente per incrementare il pacchetto di contratti venduti.
È in tale contesto che deve essere effettuato, secondo la Cassazione, il giudizio di proporzionalità tra le iniziative commerciali del venditore e il licenziamento. Senza dimenticare che, ai fini di un meditato bilanciamento tra la gravità dei fatti contestati e la sanzione disciplinare applicata, non è corretto porre sullo stesso piano la condotta dei direttori di area (che delle azioni aggressive si sono fatti promotori) e quella del venditore che, all’interno della catena gerarchica, costituisce l’anello debole.
Considerando che la giusta causa di licenziamento presuppone un inadempimento che impedisce, anche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto e lede in termini irreparabili l’essenziale vincolo fiduciario, la Cassazione ha applicato le circostanze esimenti desunte dal contesto ambientale che hanno influenzato la condotta del venditore. Attraverso questo processo logico, la Suprema corte enfatizza il grado subordinato del dipendente rispetto ai superiori dai quali promanavano le forti pressioni per spingere in modo aggressivo sulla vendita e conferma, fermo il disvalore dell’addebito disciplinare in sé considerato, l’illegittimità del licenziamento.
Il contesto ambientale di diffusa irregolarità nella gestione delle politiche commerciali, all’interno del quale si collocano le azioni spregiudicate di vendita poste in atto dal dipendente, conclude la Suprema corte, ha portata esimente rispetto alla gravità, in sé considerata, dei fatti contestati e comporta l’illegittimità del licenziamento nei confronti del dipendente che si è attenuto alle irregolari pratiche aziendali.
Giuseppe Del Vecchio
Segretario Nazionale Uilca